Passando dalla chiesa e dal cimitero alla casa il macabro ha mutato forma e significato. Il fine del tema macabro non è più di svelare il lavoro sotterraneo della corruzione. Così l'orrido cadavere roso dai vermi, straziato dai serpenti e dai rospi, è stato sostituito dal bello scheletro pulito e splendente, la morte secca con cui ancora oggi giuocano i bambini, in Italia il giorno dei morti, nel Messico sempre. Non fa altrettanta paura, non ha l'aria così torva. Non appare come l'ausiliario e l'alleato dei demoni, come quello che fornisce materiale all'inferno. Nel Cinque-Seicento lo scheletro è finis vitae, un semplice agente della Provvidenza oggi, della natura domani; nelle sue funzioni allegoriche può esser sostituito dal Tempo, un buon vecchio venerando senza secondi fini sospetti; su certe pale d'altare si è sostituito al santo patrono, dietro il donatore, nello stesso atteggiamento protettivo (Bruxelles, sec. XVI). Su certe tombe del Settecento porta in cielo il ritratto del defunto, al posto degli angeli, che assolvono in genere questa missione di apoteosi. Nella chiesa di Gesù e Maria, in via del Corso, a Roma, due tombe simmetriche di due fratelli stanno ai lati della porta d'ingresso: la principale differenza fra di esse è che in una il Tempo occupa il posto tenuto nell'altra dallo scheletro. Ormai, dal Seicento in poi la capacità di far paura sarà propria dell'ombra grigia e nera, senza corpo, o del fantasma ravvolto nel sudario, non più dello scheletro.
Ph. Ariès, L'uomo e la morte dal Medioevo a oggi,
Laterza, Bari 1984, pp. 379-380
TWS
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