Della pittura d'infamia in quanto tale svaniva anche il ricordo, ma tuttavia qualche segno sarebbe rimasto ad indicare, in modi imprevedibili, quanto avesse saputo radicarsi nell'immaginario collettivo. Per valutare la forza di questo radicamento basta prendere in mano un mazzo di tarocchi. Fra le carte figurate, i "trionfi", a partire dai più antichi mazzi quattrocenteschi rimasteci, troviamo infatti la figura dell'impiccato a testa in giù, appeso per un piede alla traversa della forca. Nei cosiddetti "Tarocchi di Carlo VI", prodotti verosimilmente in ambiente ferrarese verso il 1470-1480, l'uomo tiene nelle mani un sacchetto di monete, mentre nei trionfi dei Visconti figura con le mani legate dietro alla schiena. Sono le due varianti iconografiche che rimarranno sempre (fino ad oggi) e la carta sarà indicata di volta in volta come "lo impichato", o "il penduto", o "l'appeso", o "l'appiccato", ma anche il "traditore" o il "Juda".
Quando si cerca di spiegare l'origine della figura spesso scatta il richiamo a questa o a quella esecuzione penale, o alla pratica ricorrente dell'impiccagione a testa in giù. In realtà alla base di quel particolare trionfo si deve riconoscere senza esitazione il modulo che dal pieno Trecento divenne costante per i dipinti ad infamia: appunto l'impiccato appeso per il piede. La stessa duplicità nei filoni iconografico e di didascalia del trionfo ci richiama i reati che più a lungo e con maggiore insistenza vennero puniti in immagine: il tradimento, appunto (e anche "Giuda" rientra in questa categoria), e la frode finanziaria, specialmente la bancarotta fraudolenta (a cui bene si attagliano i sacchetti di monete stretti nelle mani del "penduto"). Non la pena, dunque, ma la sua raffigurazione è la matrice di quella carta da gioco. Il modello era facile trovarlo proprio in quell'Italia dalla quale le carte da gioco (giunte dall'Oriente si erano diffuse in Europa a partire dagli ultimi decenni del Trecento. E non andrà dimenticato che in pieno Quattrocento i tarocchi nacquero nelle stesse aree dell'Italia centrosettentrionale interessate dalla pittura infamante. Che quel particolare tipo di pittura politico-propagandistico-sanzionatoria uscita nel Duecento dal palazzo, fosse poi tornato sotto forma di "trionfo" nella corte del principe (ma anche sul banco di taverna e dovunque i tarocchi giravano) così come si era definita sui muri delle pubbliche piazze, è soltanto un piccolo segnale del peso che questo sistema d'immagini era riuscito ad avere.
G. Ortalli, La pittura infamante. Secoli XIII-XVI,
Viella, Roma 2015,
pp. 160-161
TWS
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