Isidore Ducasse brilla di luce selvaggia e solitaria nel cielo della letteratura.
Appartiene a quella famiglia dolorosa e magnifica, sempre pronta a obbedire agli ordini del disordine e della disobbedienza, alla schizofrenia che è in tutti noi e per la quale solo i fanciulli e i poeti non provano vergogna.
Lautréamont e Maldoror. Questi nomi bastano a salutare le onde di un'anima misteriosa quanto il mare, come lui ricca di sale, iodio, oro, relitti, mostri, sirene, fantasmi di pirati, uragani.
Non è possibile scrivere una prefazione a un elemento, a un astro. Ed è per questo che mi limito a segnalare alla gioventù il dovere spirituale, in un'epoca come la nostra di volgari canzonette, di salutare e riverire questi organi profondi.
Un naufrago di questo universo in cui i poeti fanno finta di vivere e di essere morti.
Ecco Isidore Ducasse.
Giovani, qui l'ammirazione non basta. È necessario che queste opere vi ossessionino, facciano vacillare la vostra indolenza morale e vi insegnino che la miglior scuola è ancora quella degli uomini che regnano ai margini delle regole prefissate.
Jean Cocteau, Una solitudine superba
- prefazione ai Canti di Maldoror del conte di Lautréamont
(come riportata in I Giganti della Letteratura mondiale, Baudelaire, Mondadori, Milano 1970)
grazie, Manu
grazie, Manu
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