Cercando nel labirinto degli specchi

Sunday, 23 March 2014

You're unforgiven, unforgiven, unforgiven

Un tal uomo assicura forse con espressioni sempre più forti che ricadere lo rattrista e tormenta e lo porta alla disperazione; "io stesso" egli dice "non me lo perdonerò mai", una frase che in tali casi si sente dire molto spesso. Ed è proprio con questa frase che ci possiamo subito orientare dialetticamente. Egli non se lo perdonerà mai - ma se ora Dio glielo volesse perdonare egli potrebbe benissimo aver la bontà di perdonarselo anche lui. No, la sua disperazione per il peccato, appunto nella passione furiosa in cui si esprime, - con la quale egli, senza pensarci lontanamente, denunzia se stesso quando "non vuol mai perdonare a se stesso" che poteva peccare così, perché questo discorso è quasi il contrario della vera contrizione che chiede perdono a Dio - non è affatto una determinazione del bene, ma una determinazione più intensiva del peccato, la cui intensità significa sprofondarsi nel peccato. La verità è che egli, nel tempo in cui ha vittoriosamente resistito alla tentazione, è sembrato a se stesso migliore di quanto realmente era, è diventato orgoglioso di se stesso. Ora, è nell'interesse di quest'orgoglio che il peccato sia qualcosa di completamente superato. Ma nel recidivo tutt'a un tratto il passato diventa di nuovo interamente presente. Questo ricordo il suo orgoglio non lo può sopportare e quindi ecco quella profonda afflizione. Ma il movimento dell'afflizione allontana evidentemente da Dio, è un amor proprio e superbia. Altrimenti egli comincerebbe col ringraziare umilmente Dio di averlo aiutato per tanto tempo a resistere alla tentazione e riconoscerebbe davanti a Dio e a se stesso che questo era già molto di più di quello che egli aveva meritato, umiliandosi sotto il ricordo di quello che era stato.
[...] Il suo modo di parlare può essere anche più ingannevole; forse non dice: io non posso mai perdonarmelo (come se prima avesse potuto perdonare a se stesso dei peccati! non sarebbe altro che una bestemmia), ma parla di Dio che non può mai perdonarglielo. Ah, anche questa è soltanto una mistificazione. Il suo dolore, la sua disperazione sono egoistici - come pure l'angoscia del peccato che qualche volta finisce per spingere l'uomo nel peccato: è amor proprio perché vuol essere orgoglioso di se stesso, orgoglioso di essere senza peccato - e la consolazione è ciò di cui egli ha meno di tutto bisogno, per la qual ragione le enormi quantità di argomenti di consolazione che i pastori prescrivono, non fanno altro che aggravare la malattia.

S. Kierkegaard, La malattia mortale, Oscar saggi Mondadori, Milano 1991, pp. 135-136

No comments:

Post a Comment