Non tutte le illusioni sono visive. Vi sono illusioni del pensiero, che chiamiamo "illusioni cognitive".
Quando ero all'università, seguii alcuni corsi sull'arte e la scienza della psicoterapia. Durante una di quelle lezioni, il nostro insegnante ci elargì un briciolo di saggezza clinica quando ci disse: "Ogni tanto incontrerete un paziente che vi racconterà la storia inquietante dei molti errori compiuti dagli altri psicologi durante le precedenti terapie. Dirà di essere stato visto da svariati specialisti e che nessuno di loro ha saputo guarirlo. Descriverà lucidamente l'incapacità di comprenderlo di quei professionisti, ma aggiungerà di aver subito intuito che voi siete diversi. Voi condividete i suoi sentimenti, siete convinti di capirlo e riuscirete ad aiutarlo". A quel punto l'insegnante alzò la voce e disse: Non vi passi neanche per l'anticamera del cervello di accettare quel paziente! Buttatelo fuori dello studio! Con tutta probabilità è uno psicopatico e non riuscirete ad aiutarlo".
Molti anni dopo appresi che quel professore ci aveva messo in guardia dal fascino psicopatico, e la massima autorità nello studio della psicopatologia ha confermato che il suo consiglio era stato giusto. L'analogia con l'illusione di Müller-Lyer è forte. Il professore non ci insegnò quali sentimenti provare verso quel paziente: dava per scontato che l'empatia che avremmo nutrito per lui non sarebbe stata sotto il nostro controllo, ma sarebbe stata generata dal sistema 1. Inoltre, non ci esortò a considerare genericamente con sospetto i nostri sentimenti nei confronti dei pazienti. Ci disse solo che una forte attrazione per un paziente con una storia di ripetuti fallimenti clinici alle spalle è un segnale di pericolo, come le frecce attaccate ai segmenti paralleli. È un'illusione, un'illusione cognitiva, e al mio io (il sistema 2) fu insegnato a riconoscerla e consigliato di non crederci e non interagirvi.
D. Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Milano, Mondadori, 2012,
posizioni 518-529 nell'edizione Kindle.
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