Cercando nel labirinto degli specchi
Saturday, 9 February 2013
Dismorfofobia
L'uomo si arrestò sulla soglia. Alle sue spalle, un esercito di ombre strisciava nel corridoio, in fretta, per uscire prima che l'allarme ripartisse.
La stanza era buia, come tutto il resto del manicomio.
C'era solo una candelina, al centro, che bruciava timidamente. Accanto a lei, come una statua di cera desiderosa di squagliarsi, una figura piccola e silenziosa, con le mani alzate a proteggere la fiammella dal vento.
Ehi, tu, non esci? chiese l'uomo, stupito. Quel prigioniero doveva avere un qualche piano più valido dell'evasione, per starsene lì vicino alla candela come un barbone nel giorno del suo compleanno.
No, rispose la figura, dopo un po'. Qui si sta bene, no?
Una voce femminile. Bassa, quasi un sussurro, un po' esitante. Tremava timorosa come la fiamma davanti a lei.
Lui fece un passo in avanti, incuriosito. Doveva esserci qualcosa di molto interessante, sotto.
Nessuno sarebbe mai rimasto ad Arkham, se avesse potuto scegliere. Neanche chi là fuori non avrebbe avuto neppure un tetto sopra la testa.
Quando fu a meno di un metro da lei, fu come se la prigioniera si fosse riscossa da un lungo sonno.
Appena le fu abbastanza vicino, vide che lo stava osservando, con grandi occhi chiari, e senza luce.
L'opacità di quello sguardo lo turbò - c'era un'assoluta indifferenza nei confronti di tutto, in quelle iridi, così pallide da fondersi quasi con il bianco attorno. La candelina brillava anche per loro.
C'è tutto ciò di cui ho bisogno. Fa caldo, e non ho altro da fare che dormire e psicoanalisi. E mi danno le medicine, così non sento più male, continuò lei, all'improvviso. Anche la sua voce era spenta - non c'era più calore, in lei, si era disperso tutto in quella stanza troppo grande.
Lei se ne stava lì, rannicchiata sul bordo della brandina, col mento poggiato sulle ginocchia. La divisa, sempre troppo larga, su di lei sembrava un'enorme camicia da notte a righe. Il bianco del tessuto era molto, molto più scuro della carnagione della ragazza. Sembra un fantasma, osservò l'uomo.
Quella ragazza era diversa dagli altri prigionieri rinchiusi ad Arkham. Era molto più giovane, e soprattutto... era innocente. L'uomo ne fu convinto appena notò che anche lei lo stava osservando.
Lo inquietava, eppure...
La candelina si spense, e solo allora lui si accorse che nel corridoio dietro di lui era calato il silenzio. Dovevano essere scappati tutti, ormai.
Lui sarebbe arrivato presto, per fare un sopralluogo col suo vecchio amico baffuto. Doveva levare le tende al più presto, senza perdere tempo con quella bambolina di pezza senz'anima.
Fece per andarsene, ma fu allora che una flebile luce ricomparve nella stanza.
L'uomo si voltò, e vide la ragazza che si infilava sotto la maglia della divisa una scatoletta di fiammiferi. Vide che la mano in cui li stringeva era fasciata. Vide che anche la metà destra del suo volto era fasciata. Piccole macchioline rosse decoravano le bende, in entrambi i punti. Dovevano averle cambiato la medicazione da poco.
Co... cosa hai fatto? le chiese, senza riuscire a staccare lo sguardo da quei bendaggi.
Un'ondata di luce investì il viso di lei, per un attimo. I suoi occhi erano di un debole turchese, leggerissimo. Freddo.
Lei inclinò la testa verso l'ombra, e sbadigliò. Quella domanda dovevano avergliela già posta altre volte, evidentemente.
Oh, io... ho rotto uno specchio. Mi sono vista nel suo riflesso, e allora l'ho rotto. Volevo ucciderlo. L'ho fatto a mani nude, perché non ci avevo pensato molto, e poi... bé, mi hanno fermato.
L'uomo aspettò. Quella risposta non spiegava né ciò che si era fatta al viso, né perché era lì dentro.
Lei non aggiunse altro.
Vuoi restare? gli chiese, dopo essersi raggomitolata in modo da avere tutto il corpo nel lato della branda in cui non arrivava il bagliore della candela. Gliel'aveva chiesto così, sovrappensiero, senza darci grande importanza. Come se avesse parlato senza accorgersene, in trance.
Lui non rispose. Lanciò un'ultima occhiata alla porta, che come tutte le altre si era aperta da sola, quando il sistema d'allarme era stato sabotato. Tornò indietro a chiuderla, e poi si sedette accanto a lei.
Perché sanguini? decise di chiederle.
Lei alzò le spalle.
Quando ho ucciso la mia immagine, lei è rimasta lì... nello specchio rotto... a fissare... non aveva espressione, era brutta... bruttissima... e sapevo che era ancora addosso a me... quindi ho cercato di grattarla via, invece di cercare ancora di romperla. Ma... mi hanno fermato... prima che potessi finire... Pensavano che volessi uccidere tutti, dato che stavo spaccando tutti i vetri della giostra. Ma a me di loro... degli altri... non importa... rispose lei, senza intonazione. Le parole scorrevano fuori da lei senza sforzo, ma piano, come bolle di sapone soffiate con esasperante lentezza.
Adesso sono ancora brutta, osservò lei, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Un'annotazione per se stessa, piena di rammarico.
Lui non la trovava brutta, anzi. Ma sapeva che dirglielo sarebbe stato inutile.
Si toccò la guancia sinistra, pensieroso. Sì, era ancora calda, e orribilmente sfigurata.
Non lo sei affatto, gli sfuggì.
La ragazza allora tornò a guardarlo. Una luce gelida, ma terribilmente intensa, le si accese negli occhi, per un secondo. La vide sorridere, ancora nascosta nell'ombra.
Grazie, rispose, e gli porse qualcosa. Neanche tu.
La sirena della polizia ululò, facendosi sempre più vicina. L'allarme antincendio aveva ricominciato a gridare.
L'uomo prese ciò che lei gli stava offrendo. Un pezzo degli scacchi.
Se resti, mi insegneresti a giocare? L'ho dimenticato, disse lei, senza emozione. Ora c'era una nota gentile, però, nella sua voce.
Lui strinse nella mano destra la sua offerta, con un sorriso. Le annuì.
Era il re bianco.
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment