Cercando nel labirinto degli specchi

Sunday, 27 January 2013

Specchio riflesso


Eccola lì. L'ombra. E tutti i fantasmi del buon vecchio Florian.

Dovrebbe smetterla, di chiamarlo così. Florian non è mai stato buono, né vecchio - almeno stando a quanto dicevano. 
Ma Florian non aveva neppure quelle profonde occhiaie, i capelli così fini e così bianchi... o l'iride rossa come il fondo di un Bordeaux d'annata, attraversata da qualche raro, lento raggio infuocato. 
Florian, secondo quanto ricordava Doc, era morto poco prima di compiere... non ricordava. 
Però sapeva che era ancora un bambino. 
E questo spiegava la curiosa maniera in cui le decorazioni che si era fatto quel giorno erano cresciute e cambiate negli anni. Come fili di una ragnatela, ma piacevolmente ruvidi, e stirati.
Doc non ricordava molto altro, di Flo - non ne aveva mai avuto bisogno, perché a rievocarlo gli bastava uno specchio. 
Ogni volta che Doc Sans Aube passava davanti a una superficie riflettente, sbirciava se stesso che fingeva di non sbirciarlo a sua volta - ma ogni volta vedeva un paio di grandi occhi azzurro elettrico, come di vetro, e un sorriso che in realtà era solo... scolpito. 
Scorgendo se stesso non aveva mai visto quegli occhi scorgerlo. Quegli occhi color rogo che ora bruciavano di gioia davanti a lui.

Doc aveva sempre coltivato un placido astio nei confronti degli specchi - li evitava, il più possibile.

Anche Münchhausen non li amava affatto, tanto da arrivare a coprirsi il volto con le sue piccole mani ben fatte quando era costretta ad avvicinarsi ad uno di quei perversi rivelatori di bruttezza.
Così, nel suo rifugio non c'erano specchi. Solo qualche vetrata, e il marmo bicolore in alcune stanze - materiali lucidi utili quando Munchies era impegnata, e lui voleva appurare di essere adeguatamente curato nel suo aspetto. Capitava di rado, ma capitava.
Solo qualche vetrata, dunque, e il marmo bicolore di alcune stanze - oltre alle pareti della bolla di sapone in cui Doc era stato confinato di recente.
E proprio sulla parete che lo separava da Munchies - perché non c'era altro utensile che Doc non potesse raggiungere, in quella sua piccola, confortevole prigione domestica - si stava ora seccando la firma del suo passato sommerso. 
Doc credeva di averlo annegato, quella sera, in un mare di goccioline di vetro. Invece no.
Florian Sainte Aube non se n'era mai andato, e ora reggeva nelle sue mani di pianista la testa di Münchhausen, come Aubrey Beardsley aveva raffigurato Salomé.
E la cosa peggiore era che, in quell'oscurità affollata di terrore, Flo stava per costringere Doc a baciarla.

Il piccolo caro Florian era sempre stato turbato dal buio - perché su quel morbido schermo nero uniforme gli si proiettavano intorno tutti gli scheletri che teneva in formalina nell'anima.

Adesso toccava a Doc assistere a quello spettacolo penoso.

Tanti auguri a me... sussurrò Florian, leccando con appetito le labbra spaccate di Münchhausen.

E buon non compleanno.

Doc rimase trascorse la notte a guardare la scritta senza poterla cancellare, mentre Munchies giaceva dolente e addormentata dall'altra parte del vetro.

Nessuno gli avrebbe creduto, se Doc avesse ammesso di essere stato lui a devastarla. E non una proiezione.

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