Donnie non mi chiamò per tre giorni di fila e lo fece nel momento sbagliato, perché arrivarono in città gli Who, e Keith Moon fece irruzione nella mia vita come un fuoco d'artificio, reclamando attenzione tutta per sé. Andai al concerto-festa degli Who, e poi Keith tornò a casa con me sorridendo maliziosamente mentre si toglieva in frette e furia l'abito di velluto Granny's e finiva dritto nel mio letto. Non avevo previsto nessun incontro sessuale, ma ero sintonizzata su Tommy, così come ero completamente fatta di crème de menthe e di altre pasticche di mille colori. Ci ricaddi, lo ammetto. E una volta mollato ogni freno inibitore, me la spassai pure, fingendo insieme a Mister Moon di essere varie persone differenti, inclusa una vecchia e ricca signora in cerca di un bellissimo giovane steward, una prostituta che rimorchia un ragazzetto vergine del Connecticut e una scolaretta stuprata da un prete. Wow! A un certo punto, durante quel delirio notturno, Keith cacciò fuori una sordida storia del suo passato che lo aveva segnato profondamente. Pare che una notte in cui era strafatto aveva fatto retromarcia con la sua Rolls-Royce e aveva investito il suo roadie, uccidendolo sul colpo. I poliziotti avevano cercato di accusarlo di omicidio colposo, ma lui era riuscito a cavarsela malgrado pensasse di meritare il rogo. Mentre stava facendo la parte del prete, Keith crollò e scoppio in lacrime. Inutile dire che la cosa migliorò la nostra improvvisazione, e io gli accarezzai la fronte delirante e stanca mentre si agitava in preda a masochistico terrore. Con la stessa rapidità con cui era scivolato nell'autodisprezzo, scattò su - il grande ritorno del prete - e portò a termine il lavoro sulla scolaretta tremante.
Queste piccole improvvisazioni frizzanti andarono avanti fino a dopo l'alba e, mentre Keith si liberava della mia biancheria intima da gattina e delle mie scarpe di pelle di leopardo che aveva indossato, la piccola Moon annunciò che aveva bisogno della sua colazione e io strisciai letteralmente attraverso il patio e la lavanderia fino ad arrivare in cucina per preparare toast alla cannella.
Donnie aveva chiamato mentre ero al concerto degli Who, insistendo affinché Gail gli dicesse chi, come, dove, perché e quando. Lei era stata evasiva per coprirmi. Da lui c'era Mercy, che era passata a trovarlo, e lui le passò la cornetta. Mercy chiese dove fossi e Gail rispose: «È al concerto degli Who, ma non dirlo a Don». All'insaputa di Gail e di Mercy, Don era sull'altra linea e sentì ogni maledettissima parola.
Mentre cercavo di cospargere la quantità giusta di cannella sul toast di Dweezil, spuntò Gail e, proprio quando stavo per inizire a raccontarle della folle nottata che avevo appena trascorso con il Re dei Maniaci, Keith entrò in cucina con passo baldanzoso e su di giri. Dopo essersi spupazzato un po' i bambini e aver bevuto varie tazze di tè, chiese a Gail se per favore poteva portare la tata a fare shopping. Mentre stavamo per uscire, Gail ci raggiunse sulla veranda e annunciò: «E comunque, ha chiamato Donnie». Durante tutta la nostra gita da Tower Records, mi domandai che cosa avesse potuto dire Gail a Donnie, che cosa avesse detto Donnie a Gail, e se qualcuno potesse aver sbirciato dentro la nostra finestra e avesse visto Mister Moon con i miei tacchi a spillo.
Pamela Des Barres
Pamela Des Barres, Sto con la band, Alberto Castelvecchi Editore srl, 2006, p. 258-259
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