Sai, io... sono proprio piena di merda.
Jordan resta impassibile, soffia via un anello di fumo, lo lascia galleggiare nell'aria, e basta.
I suoi occhi rimangono freddi su di me, nei miei.
Jordan, sono innamorata.
Lo butto lì, ormai che sono.
Abbasso lo sguardo sul suo petto, sulla maglia sbottonata, con quello strano ciondolo. Sembrano delle piccole forbici, o un anello - vedo solo il cerchio d'oro, poi... potrebbero esserci delle lame, oppure niente. Il ciondolo è coperto a metà dalla camicia aperta.
Voglio affondare.
Certo che lo sei, risponde lui. Un'altro tiro di sigaretta, lungo e assorto. Forse non è tabacco.
Oppio, fa lui, mi legge nel pensiero.
Poi vede la faccia che faccio, e si concede una risata. Ne sai davvero poco, di droga.
Annuisco, e gli prendo la cicca. Lui resta un secondo interdetto, nel dubbio - se infastidirsi o fregarsene, se lasciarmi fare o indietreggiare. Poi è come se alzasse le spalle - spinge la schiena indietro, e allenta la stretta delle dita intorno alla sigaretta. La prendo e sfilo, lentamente. Qualche scintilla di cenere mi colpisce la mano, di sfuggita.
Già, ammetto.
Lui distoglie lo sguardo, ma solo per prendere la bottiglia, davanti a noi, sul tavolo. L'avvicina e guardandomi di sottecchi versa del vino, in entrambi i bicchieri.
Bianco. Chardonnay, sembrerebbe. Ma ne so davvero poco, di vino.
Lui... chi è? mi chiede, finalmente.
Faccio il mio tiro, e quella merda mi scende, mai abbastanza in fretta, lungo la gola. Brucia.
Non tossisco.
Non rispondo.
Il tempo passa, e io non rispondo.
Guardo di fronte a me, nel vuoto, senza vedere.
Il vino riempie oltre metà del mio bicchiere. Jordan me lo passa, facendolo scorrere sul tavolo di legno grezzo. Vedo i suoi anelli brillare contro il vetro - hanno delle stelle, alcune, incise sopra. D'argento.
Poi i miei occhi si disappannano, e tornano su di lui. Lui ricambia, e prende il suo bicchiere.
Santé, mormora.
Lo imito, e levando il bicchiere gli faccio cin cin.
Oppio davvero? chiedo, per provare com'è spezzare il silenzio.
Il suo sguardo torna su di me.
Prendo un sorso.
No. Non ora, risponde.
Prende un sorso.
Vorrei, ma non posso provare, osservo io, distratta.
La sigaretta si è spenta, ormai, tra le mie dita.
La riaccende. Mentre la fiamma consuma il fiammifero, restiamo entrambi incantati a sentire l'odore dello zolfo. Un po'... nauseante, commenta lui.
Getta il fiammifero nel posacenere. Seguo con gli occhi il fumo, e gli passo la sigaretta, alla cieca, ricordandomi vagamente il percorso che la mia mano dovrebbe fare.
Tutto così...
Tocco la sua, per sbaglio.
...strano.
Alziamo entrambi gli occhi, e finiamo per guardarci, di nuovo.
Cazzo. Ecco. Ora sa, sul serio.
Potrebbe dire "ah". Sì, mi sento che dirà ah - ma non lo fa. Resta fermo, lì, davanti a me, accanto a me, col bicchere in mano. E intanto la sigaretta si consuma da sola.
Vorrei riuscire a baciarlo.
È quello che penso ogni volta che guardo le sue labbra.
Anche ora - potrei sporgermi, avvicinarmi ancora a lui, e cercare di farlo. Però... non riesco.
Le mie dita restano sulle sue. È un contatto leggerissimo, appena accennato - i miei polpastrelli sfiorano appena le sue falangi, mentre tiene la sigaretta con la destra, mollemente abbandonata a mezz'aria, e l'altra mano sulla gamba... però lo sento. E anche lui... non può non accorgersene.
Penso alla mia germofobia, penso che potrebbe averla anche lui, e mi stacco. Non era un contatto forte abbastanza per far male finendo.
Lui non dice niente, non commenta.
Prendo il bicchiere e bevo un sorso. Chardonnay, decisamente. Sa inconfondibilmente di pipì di gatto.
Bevo ancora.
Mi ferma lui, stavolta. Mi prende la mano.
Dio, quanto fa male.
Vorrei chiedergli scusa, ma non riesco. Forse neppure dovrei.
Di' qualcosa, supplico col pensiero. Dilla.
La cicca a questo punto è andata, e Jordan la lascia cadere. Precipita dolcemente tra i frammenti di cenere, accanto ai resti del fiammifero carbonizzato.
Penso a quello che potrebbe potenzialmente succedere. Penso a noi, al fatto che potrei essere coraggiosa e fortunata, e baciarlo. Al fatto che dopo quel bacio potrebbe essercene un altro, e poi magari ancora un altro - lui potrebbe ricambiarmi, e potremmo fare l'amore. Potenzialmente, potrei finire contro di lui, col viso appoggiato al suo petto, mentre lui mi accarezza senza fretta i capelli. Potrei essere con lui, potremmo essere insieme.
C'è nell'aria qualcosa di così amaro...
Mi guarda, serio. Ora potrebbe dire qualcosa circa il fatto che sa che non mi piace quel vino.
Sono paralizzata.
Interrompo il sorso, e stacco leggermente le labbra dal bordo del bicchiere. Aspetto.
Cosa potrebbe dire mai?
Non lo sa.
Abbiamo ricominciato a guardarci. Ma perché? Lui non...
Se la tua è merda, beh, ricorda che comunque galleggia.
...non parla molto. Non a lungo.
Penso che forse dovrei mettere giù il bicchiere. Penso all'assurdità di ciò che ho appena pensato - baciare, fare l'amore... con Jordan? Lui è come... intangibile.
Troppo lontano da qualsiasi altra cosa.
Faccio cenno di sì con la testa, ma immagino che sulla mia faccia sia palese la delusione.
Però... già lo sapevo.
Nulla di tutto questo ha senso, io... non riesco più nemmeno a illudermi.
Hai ragione, borbotto, alzandomi. Nient'altro.
Vorrei... almeno riuscire a sperare che mi fermerà. Ma non ci riesco più, affatto.
Vorrei che il mio rallentare e temporeggiare ora avesse un senso.
Lui resta lì seduto, a non fare niente.
Dalla punta della sigaretta riluce un'ultimo bagliore. Poi io mi muovo, indietreggio di un passo, sposto l'aria, e lei si spegne.
La mia mano è ancora in quella di Jordan.
Non la imprigiona, tuttavia... neppure la lascia cadere.
Mi mordo il labbro. Non ho imparato la lezione? Non ha proprio la minima importanza.
Sei tu, vorrei dire. E lo dico. Fa fottutamente male. Come strapparsi un lembo di pelle, dove non si ha ferite da cui cominciare.
Adesso vorrei scappare, dovrei restare, potrei sognare qualcosa, una buona reazione.
Ma adesso la prossima mossa è sua.
Io devo scomparire.
Lui non dice lo so, non dice ti amo anch'io, non dice no. Non mi risponde, ma continua a tenere la mia mano, senza agire.
Un nulla che finalmente potrebbe rendermi felice.
Lo vedo impercettibilmente deglutire, sbatte le ciglia, una volta - ma resta sempre con gli occhi fissi nei miei, senza lasciarmi andare.
Lancio un'occhiata al suo ciondolo, di nuovo. Quello è dorato, e forse rappresenta davvero un paio di forbici, non lo so. Vorrei spostargli la maglia abbastanza da poter controllare.
Ma non voglio perdere il tocco della sua mano.
Ti ringrazio, dice lui, dopo ore. Serio, solenne, col suo viso da sfinge incorniciato dai capelli dorati, così rinascimentale.
Davvero, aggiungo io, e alla fine mi lascio andare, e scivolo via come un'ombra di olio, nascondendomi in un angolo della camera che mi è stata destinata.
Così strano. Tutto sommato nulla di strano.
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