Una notte senza stelle, un ospedale senza guardie, passi strascicati di una larva che ha perso l'anima.
L'ombra si trascina tra le ombre, nelle pantofole troppo larghe per lei che ha trovato ai piedi del suo letto, con la vestaglia bianca che brilla sotto i neon, abbottonata a caso, sulle bende che la avviluppano tutta per soffocare i suoi letali impulsi.
Da quando è successo... le pulsioni sembrano essersi spente.
Né Eros, né Thanatos la reclamano, dopo il gran finale che ha invano meditato - c'era quasi, poi però... il sipario è rimasto alzato.
Meglio così, dovrebbe pensare. Ma chi siamo noi per dirlo?
Dentro di lei non si agita più niente. Encefalogramma piatto di due spiriti in un corpo - il cui encefalo invece pare in forma, anche se piuttosto pigro.
E ora sta vagando, strisciando per l'ospedale, nei reparti più lontani da quello in cui è chiusa lei.
Ci si trova bene, però - quando mostri bizzarri non vi fanno irruzione.
Dovrebbe sorprendersi che nessuno l'abbia fermata?
Dovrebbe meravigliarsi che in zona non ci sia sorveglianza?
Dovrebbe fare caso alle telecamere spente?
No, no, no, lei non se ne accorge, è troppo stanca per essere preoccupata.
E poi, ora è intangibile.
Ora è una disperata. Ha varcato la linea - o così pensano gli altri.
In realtà, non riuscirebbe mai a uccidersi, le manca la giusta chimica.
Voleva solamente riprendersi il proprio sonno.
Passa una porta, l'altra, passa davanti alle stanze di un lungo corridoio che sembra disabitato.
Si aspetta urli, fantasmi, scritte di sangue sui muri - ma questo è ciò che dovrebbe accadere nel suo reparto, o sbaglia?
L'unica luce accesa la cattura in un lampo.
Una camera, una sola, rivela presenza umana.
Lei si avvicina, piano, senza avere scampo.
Si ferma sulla porta, rimane senza fiato.
Io non ti avevo ucciso? chiede, ad alta voce. L'ha chiesto anche a se stessa, ma non è giunta risposta.
Metà faccia sorride, e l'altra è tutta fasciata.
Tu mi hai fatto rinascere, è lui che mi ha ucciso.
Lei si appoggia, dubbiosa, sullo stipite della porta.
Ti ho sparato dritto al cuore, non penso sia partorire.
Bello vederlo.
Bello vederlo vivo.
Bello pensare, per un attimo, di non averlo ucciso.
Dovrebbe essere turbata, probabilmente. Berlin lo sarebbe stata, Berlin sarebbe corsa da lui, gli avrebbe toccato il polso, avrebbe controllato che fosse vivo davvero. Berlin l'avrebbe guardato come un miraggio, e se ne sarebbe andata dritta nel suo vagabondaggio, non sarebbe mai entrata, non si sarebbe seduta sul suo letto a fare conversazione.
Ma quella non era Berlin.
Tea.
Lui la guarda, poi stringe la mano che lei gli porge.
Lui ti chiamava...
Berlin non c'è, in questo momento. Vuoi lasciarle un messaggio? lo interrompe lei, e tranquilla si siede sul letto.
Forse pensa che sia un'allucinazione, o un sogno lucido.
A Tea non importa... essere lì le dà una sensazione, e questo le basta.
Bello vederlo vivo.
Bello essere viva.
Harvey Dent.
Lui, anche se a metà, sorride ancora, e si mette a sedere, appoggiando la schiena sul cuscino.
Ancora nessuno a correre tra loro - da loro, cioè. Ancora nessun infermiere che venga a controllare.
Lei resta a fissare il vuoto, contenta.
Non sa perché, ma ora si sente bene. Quasi euforica.
Lui non sembra confuso, forse è solo divertito da quella visita.
O forse è una proiezione dello squilibrio mentale della ragazza, che ha smesso di sapere chi è molto molto tempo fa.
E tu... perché sei qui? Se posso... chiede, garbatamente.
Un incontro surreale tra quattro persone - tre e mezzo?
Tea alza le braccia, come in segno di resa, e le maniche della vestaglia, troppo larghe, le cadono giù, fino ai gomiti. Le sue braccia sono fasciate, interamente avvolte di bende bianche e garza.
Bende che la stringono anche sul petto, sul collo, sulla pancia e le gambe - ma Dent può intravederne solo pochi pezzi, negli spazi tra i bottoni.
Tu.
Una domanda, per farsi raccontare come è finito lì lui? Oppure una spiegazione, per dirgli che la causa del suo ricovero è lui.
Dent potrebbe chiederselo, ma sa che si tratta di entrambe.
Prima che possa rispondere, Tea lo guarda in faccia, e poggia la sua mano sul lato non fasciato.
La sua pelle è fresca, ma non gelata di morte. Liscia, a parte l'ombra di barba che gli sta crescendo da un po'.
Bello, vero? chiede lui, scherzando. Così gli fa pensare a quanto sia stato bruciato.
Tea continua a fissarlo, seria - i suoi occhi grigi si fanno due fessure. Come un gatto indagatore.
Sei vivo, veramente?
Lui ride. Perché, se non lo fossi...?
M'incazzerei, e andrei a ballare sulla tomba... di lei, dice in un sussurro.
Lui si irrigidisce, e con un colpo della mano destra spinge via la mano di lei dal proprio viso.
Il dolore che le si accende sotto la fasciatura, quella sensazione di fuoco vivo che rinasce, e di vertigine, e nausea... quella reazione le prova che allora è tutto vero.
Il suo viso si illumina.
Lui rimane interdetto.
Tea è bella come la luna che si specchia nei pozzi.
Tea gli ricorda qualcuno... ora la rabbia rinata lo fa sentire un altro. Quell'altro.
Dov'è Berlin?
All'altro il cuore batte, di nuovo, sempre più forte.
Tea l'ha innescato. Ha parlato di Rachel... per farlo risvegliare.
Berlin - è dentro quello stesso corpo.
Le prende la mano che le ha colpito, con la sinistra, adesso - due mani entrambe fasciate si stringono, con forza.
Io sì... e tu, sei davvero... reale?
Tea ride del gioco di parole, e per una volta senza orrore annuisce con la testa.
Ci puoi scommettere, mormora, e lo sfida. Testa o croce?
Adesso è lui che ride, l'altra metà fa male - ma lui sorride lo stesso, anche dove è sfregiato.
Ecco dov'era finita.
La ragazza gioca con la moneta, in attesa della sua risposta.
Tra le veneziane chiuse inizia a filtrare l'alba.
Lame di luce lambiscono lei e i suoi lunghi boccoli.
Dent resta in silenzio, a guardarla, aspettandosi di vederla svanire, come una fata morgana.
Tea è croce, per Berlin - la cui tormentata innocenza si sente ancora, nel calore della sua pelle, nel suo pallore di angelo ferito, nella luce dolorosa che appare adesso nei suoi occhi, ora che Tea è distratta.
C'è ancora Berlin, in Tea.
E nessuna delle due scompare, neppure quando il nuovo giorno sorge, anche lì, in quel limbo sospeso.
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