Come una vedova nera! commenta J, ridacchiando, ancora inchiodato al tavolo operatorio.
Berlin lo ignora, ancora impalata al centro della sala operatoria.
Guarda senza vederlo il corpo accasciato su di lei. Il suo cuore non batte più.
Neppure quello di Berlin, batte.
Dopo un'eternità di pochi secondi, la ragazza dà un'occhiata al crocifisso.
Allora, tesoro, che si fa ora? le chiede lui, sempre di buon umore.
Sembra che non senta affatto il dolore. Né il proprio, né quello di Berlin.
Lei non si muove, non cambia espressione, resta murata viva nella sua apatia.
Io torno a casa... e tu ad Arkham, immagino, risponde, dopo un po'. La sua voce esce come da una statua di marmo. Nel buio attorno a lei, in quella sala invasa dalla luce dei neon, non le si vedono muovere le labbra.
Probabilmente J risponde, o forse no.
Berlin se ne va, assordata ad ogni passo dal tonfo della sua carcassa che ancora si trascina dietro.
Fatti curare, dice come ultima cosa. Non sa se sta parlando a se stessa, o a J. O forse è J a consigliarglielo. Oppure, non vola parola, ed è tutto dentro di lei, ciò che accade.
Da sempre.
Fuori è il tramonto, o l'alba - il chiarore si spande ovunque, e investe anche lei, polverizzando ogni sua sensazione.
Incrocia il suo vecchio amico, che sta scendendo proprio ora dalla grande e minacciosa auto scura dai vetri affumicati, su cui Berlin prima o poi farà un giro, se lo sente. Lui la guarda - lei si sente il suo sguardo addosso, ma non si premura di accertarsene. Lui è preoccupato, presumibilmente, per lei - ma sa che non c'è motivo di chiederle cosa le sia successo.
La sua divisa scolastica imbevuta di rosso, i suoi occhi senz'anima, i bottoni strappati, e la moneta che le scivola dalle mani appena Berlin emerge dall'inferno, sulla soglia dell'ospedale - è chiaro, fin troppo chiaro, che cosa sia successo.
Qualcuno è morto là, qualcuno se ne è andato, qualcuno è stato salvato.
Berlin si volta all'ultimo, e fa ciao con la mano - il suo vecchio amico è entrato, ormai.
Lei rimane a guardare il grande scheletro dell'ospedale, i suoi resti carbonizzati, scintillare nell'ultimo sole, o al sole del mattino.
Il ronzio della città è lontano, non potrà più raggiungerla.
La ragazza si guarda in una pozzanghera, grigia come i suoi occhi e come il suo cuore abbandonato. Adesso è come quell'edificio, è ciò che resta di ciò che era prima, quand'era qualcosa di buono. Adesso non è niente, se non un triste scarto.
Si appoggia la bocca della pistola sul cuore, affondandosela nel petto - il seno le fa male, proprio dove qualcuno le ha tracciato gli indizi. Potrebbe mandare un proiettile in esplorazione, a cercare ciò che le rimane - magari così potrebbe trovare le briciole della sua sensibilità.
Ma poi la lascia cadere - la pistola si tuffa nella pozza, e Berlin la lascia annegare. La prova che a questo punto di lei non resta più niente.
Una sirena canta all'improvviso nel suo sonno.
Berlin si scuote da quel torpore che la tiene in sospensione in quell'aria senza tempo, là a qualche metro dall'ospedale.
Un'ambulanza, la polizia, o entrambe.
Il suo amico resterà là ad aspettare i suoi amici, sicuro.
E lei?
Si china per raccogliere la pistola, ma quella non c'è più.
Berlin con le mani di fango respira, se ancora può farlo, e con la notte nei polmoni torna verso la macchina, per accocolarsi sul sedile, e farsi portare via, lontano da quei resti.
No comments:
Post a Comment