Cercando nel labirinto degli specchi

Friday, 2 November 2012

Mon cher monstre, adieu?

Legato al letto con la camicia di forza, bianco su bianco, con qualche benda sporca sul viso, bloccato sulle lenzuola spiegazzate, guarda con la gioia di un carnefice la porta, come sperando che vi entri al più presto qualcuno, per dare inizio alle danze.
Lei è davanti a lui, a un passo dal letto, ma è come se non ci fosse. Lui non la vede, il suo sguardo l'attraversa, fisso come un laser rovente alla porta.
Buonasera, mormora lei, a bassa voce, senza smettere di guardarlo un attimo.
Solo a quel punto, lui si risveglia dal suo incubo ad occhi aperti.
Buonasera, dolcezza. E senza batter ciglio si alza a sedere. La camicia di forza gli cade in grembo, slacciata, e le bende si srotolano scendendogli sul collo come serpi di carta.
Le sorride - lo stesso malefico sorriso che ha dall'inizio, da quando si è risvegliato in quella candida cella.
Lei non si scompone, qualcosa in lei è morto. Pochi attimi prima, qualcosa in lei è morto.
Non gli si avvicina.
Non ha più senso.
Restano a guardarsi, senza sentire il bisogno di parlare, in quella stanza dove il tempo non scorre. Per lui, almeno, non scorre - perché lui non cambierà, non può più farlo. Potrebbe solo morire, o continuare immutato.
Lui non prova niente - se non forse odio, e per una sola persona al mondo.
E non è Berlin la privilegiata.
Non ha bisogno di toccarle, Berlin sente comunque le cicatrici, le sente sempre, anche ora - sotto il pesante giubbotto di pelle, sotto la t-shirt, sotto il reggiseno, quei piccoli puntini, le stimmate di un sentimento da abortire. L'ennesimo. Si sente così vuota, da allora - e la disillusione che l'ha travolta poco fa non fa che rigirare l'ago nella piaga.

Pensava di saperlo già - che lui era un caso clinico. Perché l'aveva dimenticato?

Le cicatrici. Quel sorriso.
Sotto la luce al neon, vide il bianco assoluto della sua pelle. La camicia di forza che era scivolata via aveva lasciato il suo corpo esposto. Non era fragile, non era indifeso, non lo sarebbe mai stato - ma quella era la prima volta che lei lo vedeva... così, senza i suoi strani travestimenti e completi. Adesso aveva davanti a sè il suo petto, le spalle, le braccia nude... vedeva sul suo polso sinistro quel lungo taglio violaceo che entrambi condividevano, le sue mani prive di guanti, il suo fisico asciutto... Berlin era di nuovo avviluppata a lui, il suo spirito almeno - non poteva smettere di guardarlo. Ora lui, per la prima volta... le appariva come un essere umano.
E non era delusione, ciò che questa scoperta le suscitava.
Notare poi sul suo viso i lividi della lotta, i graffi, il labbro tumefatto e spaccato, e comunque sempre piegato in quel suo ghigno enigmatico... Berlin si sentì andare in pezzi, di nuovo - solo che ora se ne accorgeva nel momento stesso in cui ciò accadeva.
Lui si era liberato, eppure nessun infermiere o guardia era accorso.
Erano soli, e sembravano soli in tutto Arkham Asylum.
Perché piangi, piccola? le chiese lui, dopo un'eternità, durante quell'eternità che qualche buon dottore sembrava aver donato loro.
Era piccola davvero. Davanti a lui si sentiva un'illusa bambina, una bambola che lui poteva manovrare a piacere.
Nulla, disse lei asciugandosi le lacrime con la manica, e fece la bimba grande, mentì.
Mi lacrimano per la stanchezza.
Mi fai un po' di posto, così posso riposarmi? chiese poi, facendosi forza - fingendosi forte, sfrontata. Prima che lui potesse fare qualche battuta.
C-certo... rispose lui, colto di sorpresa.
Berlin si sedette accanto a lui, che vide qualcosa di strano nei suoi occhi. Era odio, o crudeltà - non riuscì a capirlo.
Perché lei lo baciò, aggrappandosi a lui, ai suoi polsi - perché la saggezza non potesse portargliela via.
Sentì il sapore ferroso delle sue labbra, il profumo della sua pelle intriso di cloro e disinfettante, la sua liscezza, inquietante e simile a quella di un bambino... tutto le dava alla testa, e ai confini dello svenimento lei continuò, fino a quando non lo sentì reagire, e ricambiare il bacio.
Questo quell'altra lo sa? 
Non perse tempo a chiederselo, ma fu così felice da sentirsi crollare, ancora, e si lasciò andare con la foga di chi combatte una battaglia sapendo che di quella battaglia morirà. Salì su di lui, senza spogliarsi, senza neppure togliersi il maglione - il suo corpo, lui non doveva più vederlo... Si strinse a lui, a occhi chiusi, senza osare guardarlo, e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo si morse forte il labbro e non gridò, quando lui entrò dentro di lei, distruggendo la sua innocenza definitivamente.
Si morse il labbro e soffocò le lacrime, serrando le palpebre per trattenerle - lui non doveva accorgersene, oppure...
Nonostante e proprio per tutto quel male continuò, seguendo i suoi movimenti, lasciandosi prendere senza pietà, godendo di quel dolore sapendo cosa significava... Avrebbe pianto, e l'avrebbe fatto ancora, ma ora era con lui, erano insieme - null'altro importava.
Tu no, ma io sì... - ti amo, pensò disperata e felice, col cuore che scoppiava per l'uno e l'altro motivo - un dualismo in più, come avrebbe potuto farle male? Sorrise piangendo e lo abbracciò più forte, mentre lo sentiva venire - lo baciò dove l'aveva morso, quando era entrato, e si lasciò cadere contro di lui, invece che all'indietro sul materasso. Quello, lo sapeva, era il loro (unico e) ultimo abbraccio. Voleva goderselo, per poter ricordare com'era.
Incredibile a dirsi, considerato il soggetto, lui non disse nulla. Restò lì con lei, accoccolata sul suo grembo, a respirare.
Berlin gli fu grata che non avesse infierito - fu quasi dolce, nella sua misericordia, del tutto fuori dal suo personaggio.
Poi qualche passo, studiatamente lento, studiatamente risonante nel corridoio deserto, dissipò quella strana pace.
Buona guarigione, J. Grazie.
Si rialzò tranquilla, come nulla fosse, riuscendo miracolosamente a rimettersi in ordine con una certa eleganza, e senza mai guardarlo davvero. I suoi occhi incrociarono quelli di lui solo quando lei si riavvicinò al letto da cui era sgusciata con disinvoltura (come se trascorresse in simile maniera tutti i suoi tempi morti), e lo baciò a fior di labbra - per l'ultima volta, pensò, e si sentì un poco cadere -, ma fu solo un istante.
Sul volto di lui, solitamente cereo ai limiti della fosforescenza, c'era il rosso della fatica, e lo stupore di una confusione che non gli apparteneva - per quel poco che Berlin ne sapeva.
D'altronde Berlin non si sarebbe neanche mai aspettata che con lei lui facesse... quello...
"Grazie"... ripeté lui, perplesso e un po' a corto di fiato. ...perché?
Lei sorrise, e indietreggiando verso la porta col dubbio di non essersi sistemata bene la gonna, lo salutò con la mano.
Non cercare di capirmi... Impazziresti nel preciso istante in cui tentassi di farlo.
Gli lanciò un'ultima occhiata, senza però vederlo, e se ne andò, sognandolo sorridere.

No comments:

Post a Comment