Devi... smetterla... di scrivere... DI ME!
Dice la Musa, barcollando a destra e sinistra davanti a me.
Ha un coltello, un bel coltello da cucina, bello (e) affilato, intarsiato con qualche umido rubino.
Ah, no, sono goccioline. Di sangue.
La Musa mi ha incatenato ai piedi del letto. Sento gli anelli delle catene che tintinnano, ogni volta che mi irrigidisco, quando la Musa scatta in avanti per urlarmi addosso.
La Musa si ferma, finalmente, ma è un attimo.
Capito? chiede, piano, tremando un po'. Hai... CAPITO?! ... sì? aggiunge, guardandomi con gli occhi arrossati, pieni di speranza. E odio. E voglia di uccidermi lentamente, senza lasciarmi neppure il privilegio di urlare.
Una lacrima mi scivola lungo la guancia. Odio quella sensazione di bagnato. Vorrei asciugarmi il viso, ma ho le mani impegnate.
Non po... mormoro. Non posso, concludo, in fretta. Sto iniziando a parlare come la Musa.
Che non puuuooiii sibila a sua volta, fremendo di rabbia.
Che abbassa gli occhi sulla maglia che indosso, e cambia ancora una volta.
Non puoi, ripete, lentamente, in tono pensoso. Il suo coltello è ancora sospeso nell'aria, immobile, puntato contro di me. La punta della lama, a un soffio dalla mia bocca. Poco più avanti del punto dove la lacrima si è fermata.
Smetto di respirare, il mio cuore smette di battere. Il mio cervello non dà segni di attività.
Resto tesa, in attesa.
Il coltello cade, la lama si schianta sul pavimento, tintinnando come una campana a festa in quell'enorme, vuota, gelida stanza.
La Musa cade, il suo corpo crolla, in ginocchio sul pavimento.
Ad un passo da me.
La Musa piange, e dal suo viso gocciano stille bianche e rosse.
Rimango sospesa, coi polsi che bruciano sotto quelle catene, e piango anch'io, ma in silenzio, piango dentro.
Non possiamo, vero? penso, e non dico.
La Musa ora tace, persa nella sua croce, e il mio inferno è ormai il suo, ora sa.
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