La vidi appena entrai.
Il bar era strapieno, eppure lei spiccava comunque, nonostante il trench e i capelli legati in uno chignon basso, tipico look della brava ragazza che non vuole essere importunata.
Mi avvicinai titubante, senza sapere esattamente cosa stessi provando, e notai che mi notò quando il mio riflesso apparve sulla lucida superficie del suo bicchiere vuoto. Un bicchiere da Martini - era una di classe, lei.
Ciao! esclamò, voltandosi in fretta nella mia direzione, e rivolgendomi un timido sorriso, che voleva essere caloroso e accogliente, ma si rivelava soprattutto come imbarazzato.
Cazzo, pensai io. Yo, dissi invece, totalmente a random. Era bellissima.
Sul genere Claudia Schiffer - Quistis di Final Fantasy VIII, il tipo di bionda bellezza sofisticata che può incarnare perfettamente lo stereotipo della professoressa sexy (prof universitaria, naturalmente). Il genere di donna fatta per i tailleur e lo Chanel n.5... con in più in dotazione un grosso paio di tette, un fisico da sballo e degli occhi verdi che più verdi non si può. Una 10/10, poche storie.
La canzone che echeggiava flebilmente in sottofondo dal vecchio juke box scassato, Jolene, risultava ironicamente, tragicamente azzeccata.
10... mormorai, persa nella contemplazione di tanto splendore.
Ehm... cosa? chiese lei, aggrottando le sopracciglia sottili, che disegnavano perfettamente l'ala di una gabbiano.
Dieci, ripetei a voce più alta, nel casino di quel bar fumoso, bicchierini, aggiunsi, salvandomi in corner.
Sul bancone davanti a lei c'erano giusto giusto dieci bicchieri da shot, precisamente disposti uno accanto all'altro, a formare il corpo di un lungo bruco di vetro.
La guardai negli occhi, curiosa. Li ha svuotati tutti lei? mi chiesi, con ammirazione.
La donna che mi aveva fatto nera pochi giorni prima, per motivi sconosciuti, iniziava a starmi quasi simpatica.
Una fitta mi riportò alla realtà, ricordandomi che non saremmo mai state amiche, probabilmente. Lei mi aveva attaccato con cognizione di causa. Era una psicologa. Aveva decifrato la mia anima - non che ciò che l'aveva turbata fosse stato particolarmente difficile da leggere tra le righe dei miei contorti a parte, voglio dire, c'era arrivato pure il mio autonominatosi tutore, e senza che proferissi verbo. Sia a lui che a lei, la dottoressa picchiatrice, era bastato guardarmi negli occhi mentre uscivo da quella deliziosa stanza imbottita.
Oh, già, fece lei, arrossendo un po'. Mea culpa. A mia parziale giustificazione posso direi che erano ottimi, davvero ben preparati.
Dai cristalli di zucchero sparsi per il bancone davanti a lei, e soprattutto per il fondo verde che ancora s'intravedeva nei bicchierini, gli shot dovevano essere stati a base di assenzio. Assenzio puro, visto il locale - il barista, un orco sui sessant'anni grosso e peloso, non sembrava particolarmente incline a sbizzarrirsi in drink fantasiosi.
Alzò la borsa (non feci in tempo a osservarla per poter ipotizzarne la costosissima firma) per lasciarmi il posto sullo sgabello accanto al suo, e io accolsi il suggerimento. Così mi piazzai lì, nel covo nel nemico, accanto alla donna che aveva lasciato chiaramente intendere che sarebbe stata lieta di donarmi personalmente un'isterectomia gratuita senza anestesia, appena pochi giorni prima. Avevo ancora qualche livido sul costato - dove non avrei mai pensato che ci si potesse procurare lividi, ah, beata innocenza.
Bevi sempre così forte? chiesi, scherzando, o forse per una piccola vendetta.
Solo da quando ho scoperto la tua esistenza, rispose lei, evidentemente senza riflettere, in un sibilo velenoso.
Lei aveva in comune con lui molti più tratti di quanti ne avessi io, così pareva.
Desolante - anche se in fondo mi aspettavo di uscire sconfitta, dal confronto con una puledra purosangue come quella (devo smettere di frequentare i carcerati, pensai come promemoria).
Poi la dottoressa dall'angelica bellezza arrossì, di nuovo, e abbassò gli occhi. Scusa, sussurrò, e sembrava sinceramente dispiaciuta.
Non sapevo come rispondere, quindi lasciai correre, e mi preparai alla resa. La mia, resa.
Non ordinai nulla, sperando che le numerose consumazioni già pagate (speravo anche questo) dalla mia amica bastassero a giustificare anche il mio posto a sedere, per evitare di avere motivo di trattenermi più a lungo di quanto bastava per infliggermi il più grande autogol della vita, e scappare a casa a piangere fino ad addormentarmi.
Senti...
Non c'eravamo neanche presentate, ma presentivo fortemente che nessuna delle due ci tenesse particolarmente a farlo.
Presi un respiro profondo e sputai il rospo.
Il rospo che una minuscola... non così minuscola, dolente parte di me aveva sin da principio sperato che potesse diventare per lei principe.
Non hai motivo di farti... questo... di fare così per me. Cioè, per... lui. Hai capito no? Io non... sono solo una... cosa? cosa diavolo ero? ammiratrice... ecco. "wannabe-groupie", ammettiamolo. No, non era il momento di ammetterlo, né quel momento ci sarebbe mai stato... era il momento di sopprimere tutto, di ficcarlo in una tomba e dargli fuoco, fino a cancellarne ogni tracca. Forse i maiali...? Non abbiamo una storia. Non so cos'abbiate voi, ma io non sono nulla per lui, solo una curiosa.
Come chi si affolla sulla scena del crimine per vedere le sagome tracciate col gesso! commentò lei, genuinamente divertita da quella che da parte mia era stata un'amara presa di consapevolezza. Che, non so perché, mi aveva appena incrinato il cuore, riempiendolo di crepe.
O allo zoo... feci io, distratta dal dolore che sentivo in un qualche punto della cassa toracica.
Bé, tagliai corto, ecco. Tutto qui. Comprendi? Io vado, buonase-
Lei mi afferrò per la manica, trattenendomi vicino a lei.
Sei davvero carina, disse guardandomi dritta negli occhi, ipnotica. Era cambiato qualcosa in lei.
E molto dolce.
Il suo tono si era fatto materno, intenerito, ma il suo sguardo aveva qualcosa...
Mi risedetti, perché, come nella nostra rissa passata, anche allora dalla sua stretta non riuscivo proprio a liberarmi. Era anche più forte di me, non solo più bella e più formosa. Lei aveva... tutto.
Stavo per ringraziarla, quando lei mi stampò un bacio sulla bocca.
Un lungo bacio appassionato, ma elegante, senza affondare di lingua o staccarmi il labbro a morsi. Indugiò per quelli che parvero minuti sulle mie labbra, in una calda, avvolgente pressione, sfiorandomi il petto, la mia seconda scarsa, col suo seno enorme. Sapeva di miele, o di vaniglia, o di entrambi, non riuscivo a capire - a volte sentivo una nota lieve d'anice, l'assenzio che doveva aver bevuto prima.
Si fermò un attimo, separandosi da me lentamente, appena, sporgendosi ancora in avanti, per sussurrarmi qualcosa all'orecchio - mentre tutti i miei sensi erano concentrati sul contatto del suo corpo contro il mio -, in una maniera provocante che nulla aveva a che fare con l'aria virginale e sofisticata sfoggiata prima.
Capisco perfettamente, che tu l'abbia colpito così... Sei un soggetto interessante, Berlin... Wayne.
Aggiunse il cognome che non era mio con disprezzo, una punta di derisione nel suo tono da Jessica Rabbit.
E mi baciò di nuovo, mordendomi, sul collo, mentre infilava la sua mano, quella che non mi stringeva una coscia, tra i bottoni della camicetta.
Non capii a cosa si riferisse, per quanto facile fosse. Non capivo nulla.
Non sentivo più il mondo attorno a noi, che era come se si fosse fermato attonito - e forse era davvero così, vista la predilezione dei camionisti della città per gli show lesbo. Quando le sue dita, avvolte da lunghi guanti viola, dello stesso suo viola, arrivarono sotto il mio reggiseno, quando il suo tocco si fece più forte... allora realizzai cosa mi stava succedendo.
Ah! riuscii solo a gridare, un grido leggero, smorzato dallo stordimento.
Qualche gocciolina minuscola mi schizzò sulla camicia, ma, nera com'era, nessuno se ne accorse.
...Davvero interessante... principessina. Per un secondo, la stanza, troppo calda, troppo fosca, troppo affollata, mi vorticò attorno.
Poi crollai, tra le braccia di colei che mi aveva trafitto il cuore.
Mi ero punta col fuso, maledizione.
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