Cercando nel labirinto degli specchi

Thursday, 4 October 2012

Hallo loser

In ginocchio davanti allo specchio, velato dal vapore e dalle ditate con cui avevo cercato di cancellare la mia triste immagine dalla sua superficie, e dalla mia mente, giocavo colle lamette.
Adoravo sentire il suono, così invitante e raggelante insieme, che facevano quando le gettavo tutte insieme sul vetro, quel tintinnio sinistro che non faceva presagire nulla di buono, fuorché la liberazione.
Ne presi una tra le dita, attenta a non tagliarmi per sbaglio, e la alzai verso la luce, mentre l'algida aura dei neon appesi sopra di me mi stordiva, sottolineando tutto lo squallore della vita, di quel momento.
Circonfusa da quella luce fredda e indifferente, come un'aureola di nulla senza fine, la lametta brillava, o forse erano le lacrime, a farmela vedere così.
Non mi ero neppure accorta, che stavo piangendo.
Sapevo che non avrei usato quella chiave, sapevo che non sarei mai entrata nell'Altro Mondo.
Erano lacrime di sollievo. . . ?
Ciao, sfigata.
Abbassai gli occhi sullo specchio, pensando che fosse lui a parlarmi, e sentii qualcosa di umido scorrermi sul collo.
Con lo sguardo fisso sul vetro, senza vedere nulla, allungai la mano che non giocava con la lametta a toccare ciò che mi stava avvolgendo in strane spire senza calore.
Sentii la soffice consistenza dei capelli del mio incubo peggiore.
E come in un incubo, non mi mossi.
Mi leccò di nuovo, fino a farmi paralizzare tra i brividi.
E mi rubò la lametta, la preziosa lametta magica che tenevo tra le dita.
Spostai lo sguardo sulle mie braccia, che erano ricadute inermi e flaccide davanti a me, sullo specchio, come svuotate dalla mia vita. Mi erano estranee... come tutto lì, tutto il mondo mi era estraneo. 
No, no, no, sibilò il mio carnefice, passando le sue dita lunghe e ossute, di scheletro o Arpia, sulle cicatrici che mi costellavano gli avambracci. Non è così che si fa... 
Aspetta, ti faccio vedere.
Prima che potessi anche solo recepire il suono delle sue parole, senza sentire nulla, mi ritrovai con un taglio lungo, elegante, ben fatto, sul polso, proprio in coincidenza del punto in cui ci si dovrebbe tagliare, per ottenere quello scopo.
Sanguinava appena.
Lo tamponai subito con la manica della camicia, senza pensare, e poi gli diedi un'altra occhiata.
Era la sua iniziale. 
Mi aveva marchiata?
Presi tra le dita un'altra lametta, mentre la mia prescelta giaceva ancora tra gli artigli del ladro, e ricambiai il favore. Mi mossi ancora senza pensare, senza esitazioni, e finalmente voltandomi verso di lui.
Quando la mia arma ebbe finito, ricadde sul pavimento, accanto a noi - il mio incubo ed io, accoccolati insieme sulle piastrelle del bagno. Lo guardai.
Di nuovo, quegli occhi. Ma questa volta riuscii a reggere, anche se solo per un secondo, la loro instabile luce torturatrice. Era bianco, esangue, come avevo visto i miei avambracci, pochi attimi prima. 
Eravamo dello stesso colore.
I suoi capelli erano tinti, quel giorno. Dello stesso verde veleno del suo completo. 
C'era anche del viola, da qualche parte, ma non riuscii a guardarlo così bene da capire dove, neppure allora.
Infatti il mio sguardo si rifugiò subito sulle sue labbra.
Che, naturalmente, s'incresparono in un trionfio ghigno, fiero.
Perfetto, dolcezza. Perfetto, mi sussurrò, mentre dolcemente perdevo i sensi, guardandosi forse la lettera che gli avevo tracciato io sul polso. 

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